Le basi del trading: cosa sono plusvalenze e minusvalenze?

Le basi del trading: cosa sono plusvalenze e minusvalenze?

Uno dei concetti base del regime fiscale italiano è quello di plusvalenza, cioè l’incremento di valore di un bene nel tempo. Le plusvalenze possono essere realizzate sia su degli immobili sia su degli asset finanziari, come ad esempio le azioni. Andiamo ora a vedere alcuni esempi.

Plusvalenze e minusvalenze: le principali differenze fra trading e mercato immobiliare

Da un punto di vista fiscale, vi sono importanti differenze fra plusvalenze nell’ambito immobiliare e in quello finanziario.

La plusvalenza immobiliare è il profitto realizzato rivendendo un immobile ad un prezzo maggiore di quello di acquisto. Ad esempio, se Mario ha acquistato una casa a €200.000 e la rivende a €250.000, realizza una plusvalenza di €50.000. Su questo profitto, il venditore dovrà pagare l’IRPEF (a titolo di “reddito diverso” o “altri redditi”) oppure un’imposta sostitutiva del 26%. Questa tassa va però pagata solo in determinati casi: non si paga nulla quando si vende un immobile ricevuto in eredità, quando si acquista un immobile e lo si vende dopo più di 5 anni e quando si vende la propria prima casa.

In ambito finanziario invece, una plusvalenza o capital gain, avviene quando si vende uno strumento finanziario (come ad esempio azioni, obbligazioni o opzioni) ad un prezzo superiore a quello di acquisto. In Italia, queste capital gains sono tassate con un’aliquota del 26%. Per alcuni strumenti, fra cui soprattutto i titoli di Stato (ad esempio BOT e BTP), l’aliquota è solo del 12,5%.

Plusvalenze e minusvalenze nel trading

Ad esempio, se Mario ha acquistato un’azione Unicredit a €7,50 e la rivende a €8,50, realizza una plusvalenza di €1,00 su cui dovrà pagare un’imposta del 26%.
Al contrario, se Mario vende la sua azione Unicredit a €7,00 realizza una perdita (minusvalenza o capital loss) di €0,50. In questo caso, Mario non dovrà pagare alcuna tassa, ma anzi potrà utilizzare questa minusvalenza per abbassare la tassazione effettiva di eventuali plusvalenze future, realizzate entro i successivi 4 anni. In generale, questo principio si applica a tutti gli strumenti che generano “redditi diversi” (come ad esempio azioni, obbligazioni, e futures), ma non a strumenti che generano “redditi di capitale” (come ad esempio ETF e fondi comuni di investimento).

Cosa succede alla fine dell’anno?

I dettagli sulla tassazione dei propri profitti da trading dipendono anche dal tipo di regime scelto per dichiarare al fisco i proventi derivanti dalle proprie attività di investimento. Ciononostante, possiamo provare ad elaborare un piccolo esempio per capire lo spirito della tassazione italiana.

Ipotizziamo che il 1° gennaio 2021, Mario acquisti:

  • €10.000 di azioni Acea,
  • €5.000 di azioni Brembo,
  • €1.000 di azioni Campari.

A fine agosto, Mario vende le azioni Acea per €12.000, realizzando una plusvalenza di €2.000.

A fine novembre, Mario vende le sue azioni della Brembo per €4.500, realizzando dunque una minusvalenza di €500.

A fine dicembre, Mario continua a tenere le proprie azioni della Campari: in questo caso, il valore delle azioni della Campari non è rilevante, dato che Mario non le ha vendute (e dunque non ha realizzato né una plusvalenza né una minusvalenza).

Quante tasse dovrà pagare Mario alla fine dell’anno? Molto semplicemente, l’aliquota del 26% dovrà essere calcolata sui profitti effettivi realizzati da Mario nel corso dell’anno, pari a €1.500 (€2.000 – €500). Mario dovrà quindi pagare al fisco italiano un importo totale di €390.