Fair play finanziario: come funziona e cosa è cambiato nel 2022

Fair play finanziario

Il Fair play finanziario venne introdotto dall’UEFA nel 2009, con l’obiettivo di rendere le società europee di calcio più solide e ridurre il rischio di fallimento. Nel suo primo decennio di vita ha ricevuto tante critiche, per via del fatto che le sue regole sono facilmente raggirabili.

Andiamo a scoprire come funziona e quali restrizioni impone alle società. Vedremo poi alcuni esempi di club “furbi” che riescono a raggirare le regole dell’UEFA senza subire sostanziali punizioni.

Cos’è il Fair play finanziario?

È risaputo che molte società di calcio non sono sane dal punto di vista economico. I presidenti sono spesso dei tifosi appassionati che, nella speranza di vincere un trofeo, spendono più di quanto possono permettersi per accaparrarsi i migliori giocatori. D’altronde, molti presidenti non comprano una società di calcio per generare utili, ma per vincere campionati e coppe. Se poi i risultati – ed i relativi premi in denaro – non arrivano, ciò che resta sono debiti elevati e bilancio in rosso. In Italia c’è una lunga lista di società che negli ultimi anni hanno dichiarato il fallimento a causa di inadempienze finanziarie, tra cui Catania, Chievo Verona, Napoli e Parma.

Notando la gravità della situazione ed il costante peggioramento dei conti di molte società europee, nel 2009 l’UEFA approvò un insieme di regole chiamate Fair play finanziario (FPF).

Gli obiettivi principali del FPF sono due. In primis, assicurare la sostenibilità finanziaria dei club, evitando che spendano più di quanto guadagnano.

In secondo luogo, evitare il cosiddetto “doping” finanziario, ovvero l’iniezione di capitale esterno (da parte di un proprietario facoltoso) che permetta ad un club di spendere più di quanto fattura. Un esempio emblematico di doping finanziario è il Paris Saint Germain. Da quando è diventato di proprietà della Qatar Sports investments nel 2011, il PSG ha speso sul mercato cifre enormi per acquistare alcuni tra i migliori giocatori al mondo ed è passato dall’essere una squadra di metà classifica ad essere dominatrice incontrastata del campionato francese.

Il requisito di break-even

Il Fair play finanziario venne approvato nel 2009 ed entrò in vigore nella stagione 2011/12. La regola cardine del FPF è il requisito di break-even, ovvero l’obbligo di pareggiare il bilancio. In pratica, le spese non possono essere superiori agli introiti.

Il break-even viene calcolato facendo la differenza tra fatturato e spese “rilevanti”. Le spese rilevanti includono il costo per l’acquisto di giocatori, gli stipendi ed altre spese finanziarie. Dal calcolo sono invece escluse le spese per il settore giovanile ed il deprezzamento di beni immobili come lo stadio o il centro sportivo.

Il requisito di break-even viene valutato sommando i risultati finanziari degli ultimi tre anni. Ad esempio, supponiamo che il club abbia nel 2018 un surplus di €20 milioni, nel 2019 un deficit di €50 milioni e nel 2020 un surplus di €15 milioni. Il risultato complessivo degli ultimi tre anni è -€15 milioni (20-50+15). Di conseguenza la società si trova in violazione del requisito di break-even.

La regola permette ai club di avere un deficit, a patto che venga coperto da aumenti di capitale da parte degli azionisti. A partire dalla stagione 2018/19, il deficit massimo consentito è di €30 milioni su un periodo triennale.

Fair play finanziario: riforma del 2022

Ad aprile 2022 l’UEFA ha annunciato le nuove regole del Fair play finanziario (il nome completo è UEFA Club Licensing and Financial Sustainability Regulations). Il presidente Ceferin ha presentato queste nuove regole dicendo che “l’evoluzione dell’industria del calcio, insieme agli inevitabili effetti finanziari della pandemia, ha mostrato la necessità di una riforma globale e di nuove norme di sostenibilità finanziaria.”

Le nuove regole si basano su tre pilastri:

  • Solvibilità: i debiti nei confronti di società calcistiche, dipendenti, autorità fiscali e dell’UEFA devono essere pagati entro 15 giorni dalla data di scadenza. In questo modo si garantisce una maggiore protezione dei creditori.
  • Stabilità: questo pilastro è un’evoluzione della regola di break-even. In pratica, le società devono sempre arrivare al pareggio di bilancio. Tuttavia, il deficit consentito su un periodo di tre anni aumenta da €30 a €60 milioni, sempre a patto che venga coperto con capitale degli azionisti. Se l’obiettivo dell’UEFA è davvero rafforzare la stabilità dei club, aumentare il deficit consentito sembra un po’ un controsenso. Inoltre, sempre all’interno di questo pilastro c’è il concetto di fair value – o valore equo – da applicare a tutte le transazioni.
  • Controllo dei costi: questa è la principale novità. Questa regola limita le spese per stipendi, trasferimenti e commissioni ad agenti al 70% del fatturato.

Le nuove regole sono entrate in vigore a giugno 2022, ma verranno attuate gradualmente nel corso dei tre anni successivi in modo da dare alle società il tempo di adeguarsi.

Cosa succede se un club non rispetta le regole?

In teoria, l’UEFA ha stabilito una serie di sanzioni di vario livello in base all’entità dell’infrazione. In ordine crescente di severità, tra queste sanzioni ci sono:

  1. Avvertimenti
  2. Multe
  3. Sottrazione di punti
  4. Sottrazione di premi economici derivanti da competizioni UEFA
  5. Negata iscrizione di nuovi calciatori in competizioni UEFA
  6. Limite al numero di calciatori che possono essere iscritti per competizioni UEFA
  7. Squalifica da una competizione in corso
  8. Esclusione da competizioni future

In realtà però, in più di una circostanza queste pene non sono state attuate o attuate solo parzialmente. Ad esempio, nel 2020 il Manchester City venne sanzionato con l’esclusione dalle coppe europee per due stagioni. Pochi mesi dopo, il Tas di Losanna ha invertito la decisione e annullato la squalifica, sostituendola con una multa di €10 milioni.

Come è possibile che alcuni club spendono cifre sempre più folli?

A questo punto una domanda sorge spontanea: se il Fair play finanziario obbliga i club a spendere non più di quanto ricavano, come è possibile che alcune società paghino cifre sempre più alte per trasferimenti ed ingaggi?

La risposta è che alcune società con proprietari molto facoltosi raggirano la regola gonfiando artificialmente il fatturato con delle sponsorizzazioni fittizie.

Ad esempio, nel 2009 Ethiad è diventato lo sponsor principale del Manchester City in cambio di ben 67,5 milioni di sterline a stagione. In seguito, un’inchiesta scoprì che solo una piccola parte di quell’importo veniva effettivamente pagato da Ethiad, mentre il resto veniva pagato dal proprietario del club, lo Sceicco Mansour. In pratica, lo Sceicco immetteva capitale nel club fingendo che quel capitale stesse venendo da uno sponsor.

Un altro esempio è l’accordo di qualche anno fa tra il Paris Saint Germain e la Qatar Tourism Authority per una sponsorizzazione di €120 milioni l’anno. Guarda caso, sia il PSG che il suo sponsor sono di proprietà del governo del Qatar.

Aumentato il fatturato, la società può spendere di più e quindi può offrire più soldi ai calciatori. In teoria, l’UEFA ha il potere di svalutare queste sponsorizzazioni utilizzando la regola del fair value, cioè stimando il valore reale di mercato del contratto, ma questo accade raramente.